L’antìfrasi del governo

 

 

Altro che artisti, eroi, santi e navigatori. Nel mezzo di questa pandemia noi italiani – diciamocelo – abbiamo dimostrato di essere diventati un popolo d’ignoranti, totalmente incapaci di cogliere anche le più basilari figure retoriche del nostro codice espressivo. Abilità linguistiche che invece un po’ tutti a Palazzo Chigi (soprattutto lo specialista Rocco Casalino) posseggono saldamente. La verità è che statisti di questo calibro noi non ce li meritiamo. Perché siamo una massa di capre che non a caso vive in fremente attesa dell’“immunità di gregge”, mentre nel frattempo si produce in improperi belanti nei confronti dell’augusto governo, lamentando indicazioni poco chiare sulla condotta da tenere. Vogliamo il bastone insomma, non la raffinata carotina del divino Giuseppi, ma solo ordini precisi cui attenerci pedissequamente. Siamo degli analfabeti funzionali che pretendono – pensate un po’ che volgarità – delle dispozioni chiare e possibilmente non contraddittorie. Pane al pane, praticamente, in luogo delle figure retoriche al caviale che ogni gentleman “pochettato” sarebbe in grado di cogliere e apprezzare. Noi invece, che l’unico fazzoletto nel taschino che ci possiamo permettere è quello di carta sul quale sputazzare rabbia e droplet, non solo restiamo insensibili, ma osiamo persino lagnarci di fronte alle antìfrasi declamate in diretta televisiva dal Conte impomatato. Anzi, essendo degli analfabeti funzionali negazionisti abbiamo dovuto persino consultare un dizionario per capire cosa fossero tali antìfrasi.
Ve la facciamo facile, a prova di capra: vi ricordate quando da adolescenti libidinosi facevate mano morta sulle forme della vostra fidanzatina e lei vi diceva “no dai, sciocchino, cosa stai facendo?”. Ebbene era il classico modo elegante per dire “datti da fare idiota che facciamo notte e devo rientrare a casa”. Esattamente la stessa tecnica usata dal duo Conte-Casalino dall’inizio della pandemia. Il famoso “siete liberi, abbiamo debellato il Covid, ci scriviamo perfino un libro sopra per vantarcene (Speranza), riapriamo le discoteche e vi diamo il bonus vacanze per riattivare il turismo” dell’estate scorsa era in realtà “restate chiusi in casa e il bagno fatevelo al massimo nella vasca”. Così come il “riapriamo i ristoranti e i negozi per salvare i negozianti e allo scopo attiviamo pure il cashback”, andava letto “non azzardatevi a mettere il naso fuori di casa e al massimo comprate on-line così arricchite ulteriormente il nostro amico Bezos”.
Si chiama appunto antìfrasi: dire una cosa per significare il contrario. Ma noi che siamo dei trogloditi non l’abbiamo colto. Pretendevamo che il Conte si facesse plebeo e ci dicesse didascalicamente cosa fare. E allora da perfette capre lo abbiamo preso alla lettera e questa estate siamo andati al mare. Poi abbiamo mandato i nostri figli a scuola. Poi siamo andati perfino a fare shopping.
E adesso osiamo anche lamentarci per essere il primo Paese al mondo in termini di decessi da Coronavirus.
Ci siamo inventati ragioni inesistenti e fantasiose come il taglio brutale perpetrato in modo scientifico in questi ultimi vent’anni della Sanità pubblica, dei posti letto, del personale sanitario, arrivando a prendercela addirittura con le logiche impazzite del mercato, con la globalizzazione, con l’Europa. Abbiamo avuto il coraggio di accusare il governo d’immobilismo, gli abbiamo rinfacciato di aver perso tempo dietro i monopattini e i banchi a rotelle invece di potenziare i trasporti e riattivare ospedali dismessi e posti in terapia intensiva falcidiati in ossequio alla spendig rewiew, e invece era tutta colpa nostra. Della nostra ignoranza. Della nostra incapacità di cogliere il nobile significato retorico dell’antìfrasi. Altro che congiuntivo. Facciamo mea culpa e andiamocene di corsa tutti a ripetizione da Di Maio.

Alessio Di Mauro